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giovedì 31 ottobre 2024

#Halloween: Atto d'amore - Quarta Parte

Attenzione
: per i temi trattati si consiglia la lettura a un pubblico adulto e non impressionabile. Questo è un racconto diviso in cinque parti. Si consiglia di recuperare le parti precedenti.


Simone si sta abbottonando la camicia perfettamente bianca, riposta perfettamente in un armadio dove tutto era perfetto, nella cabina armadio immacolata, adiacente alla camera da letto dove nulla era fuori posto, in un appartamento curato nei minimi dettagli come la sua vita.
Nulla può sfuggire dal suo controllo, da che ne ha memoria, il padre gli ripete la frase che anni prima si era sentito ripetere da bambino da suo padre: “Non lasciare spazio alle sorprese e non ti troverai mai impreparato”. E lui ora non saprebbe neanche definire la parola “sorpresa”.   
Ne organizza ad amici, parenti, persino a Rebecca, solo per assaporare quello che tutto ciò comporta, il potere che può ottenere.     
Nessuno, però, può sorprenderlo, sia in positivo che in negativo. Agli occhi degli altri è una montagna: c’è chi passa la vita impegnandosi a scalarla, chi si accontenta di una passeggiata, chi di una sola notte fuori, ma con chiunque è lui a decidere. Basta il suo volere e persino gli scalatori più esperti possono ruzzolare giù improvvisamente, senza più possibilità di recupero.
Le montagne, però, prima o poi diventano sabbia. Delicata, friabile, calpestabile.


Lo sguardo è freddo dietro quegli occhi smeraldo, non riesce ancora a credere al misero errore commesso. Si allaccia il Rolex al polso destro, con il cuore che accelera un battito. Ricordarsi di Kevin lo ha quasi eccitato, riportato alla calma e alla certezza di avere tutto sotto controllo. Ora può concentrarsi sul problema chiamato Teresa.

Simone accoglie Cristina nella sua stanza, che in verità è più un salone dalla grandezza di un appartamento normale per una persona di ceto medio. Ha sentito fin da subito qualcosa di diverso in lei, la ragazza non si era scomposta minimamente da tutto quel lusso, dalla grandezza e da tutte le mini sculture scelte appositamente per intimorire chiunque vi si recasse. Quasi tutti sottovalutano il potere che può giocare la scelta degli arredi, persino loro fondamentali per la chiusura di contratti, per le acquisizioni di aziende, o per una bella lavata di testa.

Il nodo della cravatta lo sta soffocando, ma non può allentarlo o sarebbe il primo passo verso il cedimento. Si alza per darle la mano, che stringe con entrambe le sue, coprendola completamente. La fa accomodare sul divanetto bianco, sedendosi accanto a lei, seppur mantenendo un posto di distanza. Le gambe leggermente aperte, la schiena tesa verso di lei, i gomiti appoggiati sulle cosce e le mani giunte come in una preghiera: tutto del suo corpo urla amicizia, accoglienza, apertura. D’altro canto la stretta di Cristina non è stata forte, lei è appoggiata allo schienale, le gambe chiuse con i piedi che puntano alla porta e lo sguardo basso: tutto del suo corpo urla: “voglio scappare da qui”.
«Voglio iniziare col dirti che ho messo a disposizione i miei migliori detective privati. Mi fido tanto della polizia italiana, ma, sai, quando si tratta di chi lavora per me è come se toccassero qualcuno della mia famiglia. Non oso immaginare se fosse successo a mia madre…» Simone si ferma di colpo, simulando commozione, mentre la ragazza lo guarda persa, annuendo e sorridendo un grazie. Ma non gli sta credendo.
«Desideri qualcosa? Un un tè, un succo di frutta?»
«No, grazie.»
Non vuole rimanere, non è a suo agio. La osserva mentre si guarda attorno, come se stesse controllando la presenza di telecamere nascoste. Ce ne sono sette, ma questo lei non può saperlo.
«Scusami se mi permetto, ma… ora con chi state?» che la signora Teresa avesse dei figli è stato un vero shock, doveva quindi indagare fin da subito per capire se al conto di due sorprese se ne dovessero aggiungere delle altre: sorelle, fratelli... Teresa ha sempre pianto il fatto di essere rimasta sola al mondo dalla morte del marito. Lurida puttana. Pensa mentre continua a fingere vicinanza con la figlia maggiore.
«Da noi è venuta nostra zia, rimarrà finché non tornerà mamma.» il tono sommesso della ragazzina è inquietante, perché non si allinea con il suo sguardo freddo, impassibile, gelido, di chi sa di avere qualcosa da nascondere, qualche asso nella manica…
«Ottimo. Fammi sapere se vi serve qualcosa, qualsiasi cosa…»
Simone si avvicina a lei, in apparenza per metterle una mano sulla spalla, per confortarla, in realtà per cercare di capire cos’è che la ragazzina nasconde. Di rimando questa copre il viso tra le mani, cominciando a piangere.
Simone sa che le telecamere hanno anche un sistema audio, deve pesare bene le parole, devono essere neutrali ma non asettiche. Non deve lasciare a nessuno uno spiraglio di dubbio.
«Hey, tranquilla. Guarda…» prende dalla tasca della giacca uno dei tanti biglietti da visita, non che gli serva sapere chi sia, ma in quello è segnato il numero del telefono che utilizza solo per le questioni urgenti. «qui è segnato il mio numero, chiamami se hai bisogno di parlare, se vuoi metterti in contatto con i miei detective…»
La ragazzina prende titubante il foglietto, ringraziando ancora. Il suo sguardo ora è tornato a essere quello di qualsiasi altra sedicenne, forse le serviva solo fiducia e lui è intenzionato a dargliela, se necessario.
«Ritroveremo vostra madre.»
«Oh. Lo so. Tutti noi ci fidiamo di te.» La ragazza gli sorride in modo strano e Simone sente un brivido leggero lungo la schiena. Si alza come per andarsene. «Posso chiederti un abbraccio?»
Lui è ancora scosso, ma non può perdere la fiducia di Cristina proprio adesso. «Ma certo».

In pochi secondi torna solo, con lo sguardo fisso verso l’esterno, una città avvolta nel buio dell’autunno inoltrato. Contempla le prime luci artificiali che si accendono e coprono quelle delle stelle, quando mettendosi una mano nella tasca dei pantaloni sente un bigliettino. Lo prende, lo apre e lo legge: Tenebrae qui advolvunt inanimum verba vostra sicut velena sunt halǐtum cum potentia illǎquĕant et ad tenebras omnis credo perdit.

Non riesce a ripassare nei meandri della sua mente quel poco che ancora è rimasto di latino, che il cuore comincia a battere all’impazzata, sente caldo, non respira. Si appoggia alla scrivania, cerca di prendere il telefono, gli basta solo spingere un tasto per chiamare la sua segretaria, ma il respiro è sempre più affannoso, sta perdendo lucidità ma non la speranza che qualcuno della sicurezza lo veda diventare viola. Cade in ginocchio, forse così forte che le rotule, o almeno una delle due, si devono essere rotte. Riesce a prendere il telefono, ma gli scivola dallo schermo, che cade giù, rompendosi. È tutto nero.

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