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venerdì 4 ottobre 2024

#Cinema&SerieTv: La Ragazza del Treno

Avendo letto e amato il libro omonimo, non ho visto subito il film “La ragazza del treno” (2016), diretto da Tate Taylor.

Per noi amanti dei libri è sempre con timore che ci approcciamo ai film, quindi ho fatto passare degli anni, praticamente quasi dieci e ho preso coraggio.

Il film non è il libro, e questa frase rimane impressa minuto dopo minuto, ma per lo meno mi ha dato le stesse sensazioni provate durante la lettura.
 
Rachel Watson (Emily Blunt) è una donna distrutta dopo il divorzio dal marito Tom Watson (Justin Theroux). Vive a casa della sua amica Cathy (Laura Prepon) e finge di andare al lavoro, che ha perso da circa un anno, per dedicarsi giorno e notte all’alcol.
Ogni mattina e sera prende il treno che la porta in città e lì rivede tutti i luoghi del suo quartiere passato, dove viveva assieme al marito. È in quei brevi frangenti che spia l’ex, la sua nuova moglie Anna (Rebecca Ferguson) e la loro figlia neonata Evie, ma non solo… l’ossessione di Rachel arriva anche ai vicini: Scott (Luke Evans) e Megan Hipwell (Haley Bennett) e per loro immagina un matrimonio idilliaco.
Rachel crea un mondo fantastico, fino a quando vede Megan baciare un altro uomo. Questo la sconvolge, riapre vecchie ferite, rancori, diventa violenta, come sempre quando beve, e al mattino si ritrova ricoperta di sangue senza ricordare nulla.
Quello che sembra l’ennesimo risveglio post sbronza, diventa terrore più profondo quando apprende la notizia, rimbalzata in tutti i media, che una giovane donna è scomparsa. Si tratta proprio di Megan.

Non proseguo per evitare spoiler.

Il personaggio di Rachel è complesso, tanto che ci porta a non sopportarlo. Vorremmo scuoterla, schiaffeggiarla, per quanto non riesce a muoversi in modo consapevole nella vita. Ma è proprio per questo che è reale.

Una persona depressa, che ha visto la sua intera vita scivolare dalla mano quando il marito l’ha tradita e lasciata che rimane inerme mentre lui continua come se nulla fosse, con l’amante diventata moglie, una figlia, nella stessa casa dove vivevano… sfido chiunque di noi a proseguire come se nulla fosse.

Eppure una piccola, grande, scintilla rimane accesa dentro di sé. Rachel è ossessionata dal suo passato perché c’è qualcosa che inconsciamente non le torna. I suoi ricordi non possono definirsi coerenti, veritieri, c’è tanto che non sa sul suo passato ma questo piano piano riaffiora, rendendola più lucida che mai.
Il cammino che intraprende Rachel è quello di ritorno alla luce da una condizione di buio totale, dove per potersi salvare è necessario proseguire lente, a tentoni, perché ogni passo è una caduta, più o meno difficile da recuperare.

Ma il film ha i suoi ma. Che per carità, ha anche il libro.


Ogni personaggio, seppur magistralmente interpretato, non sembra davvero un protagonista, ma solo una specie di manichino che si muove e parla perché deve.
Sono piatti, privi di dimensionalità, non c’è nessun perché nei loro comportamenti.
I flashback, salti temporali e cambi immagini, sono di certo necessari perché provengono da una mente confusa, ma così tanti che confondono anche noi e non danno continuità o armonia alla pellicola che risulta pesante, soprattutto se non si ha letto il libro.

Il risolversi della situazione è più che mai troppo veloce, senza senso e a mio avviso senza dignità per le vittime coinvolte. L’antagonista, poi, che avrebbe il compito per lo meno di opporsi al protagonista, è anchesso piatto. Se è vero che inizialmente deve confondere e risultare innocente, è altrettanto vero che nel momento in cui viene smascherato si perde in un bicchier d’acqua, o forse nelle classiche scene dove ognuno fa da sé che ci fanno urlare al televisore: “Ma perché?

Un film che non mi sento di promuovere, ma neanche di bocciare.

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