Di quest’opera è possibile fare diverse considerazioni. Se osserviamo la statua macchiata, realizziamo che soltanto una cosa non è soggetta al tempo, ed è appunto l’arte. La testa di marmo è stata “colpita” da uno schizzo di sangue, perché ci rendiamo conto che questo non sgorga, ma proviene da un agente esterno. L’uomo, da cui origina il sangue, è probabilmente morto, mentre l’arte rimane immobile, insensibile alla caducità dell’esistenza umana.
Un’altra interpretazione riguarda sempre la statua, che porterà per sempre dentro di sé il ricordo di quanto accaduto, ma non potrà mai raccontare ciò che ha visto, perché l’arte riporta il mondo senza parlare, in maniera silenziosa. Seppellirà tutto nei meandri della propria memoria. In riferimento allo scorrere della vita, ci sono anche i due elementi che sembrano stonare nella composizione: la foglia e il sonaglio. La prima è staccata dall’albero, dalle sue origini e piano piano andrà in contro a una inesorabile fine. La vediamo, infatti, già accartocciarsi e ingiallire. Insieme a lei, riposta sullo stesso ripiano, troviamo un sonaglio, un chiaro richiamo all’infanzia. Anche il “noi” bambino è seppellito nei meandri della nostra memoria, ma siamo cambiati, siamo andati avanti, e non ci restano che frammenti. Mentre noi ci dirigiamo in una folle corsa verso il tempo, verso lo scorrere della vita, il mondo intorno a noi è insensibile al nostro passaggio. Lo indica anche il cielo nuvoloso, come un richiamo a quanto accaduto, e il mare, che viene svelato da un drappo rosso e pesante.
La statua, sineddoche dell’arte, ha assistito silenziosamente al massacro dell’uomo contro l’uomo, alla sua autodistruzione e non può fare altro che divenire muta spettatrice. Pensando al dolore, la macchia di sangue potrebbe riguardare anche una ferita emotiva che continua a sanguinare, macchiando anche gli altri rapporti. Ci sono ferite talmente profonde in grado di intaccare anche la freddezza dell’uomo più duro. Ci sono dolori che sgorgano anche dal marmo quando tornano alla mente.
Il drappo diviene un muro che ergiamo intorno ai nostri ricordi più dolorosi, ci copriamo metaforicamente il capo per non soffrire, mentre vita e morte si alternano e contrappongono magistralmente nell’opera di Magritte, come indicato dalla statua e dalla foglia verde. Le ferite si riaprono perché il rimbombo delle urla dei morti della Seconda Guerra Mondiale ancora risuona nelle orecchie di chi è scampato al massacro. L’uomo non può che portare quel ricordo con sé, nonostante non immagini neanche lontanamente che il drappo rosso inizierà a celare qualcosa, che cadrà inevitabilmente nell’inconscio. Infine, gli occhi della statua sono chiusi, in segno di muta accettazione. È rassegnata, perché gli esseri umani si feriranno sempre a vicenda, mentre l’arte assisterà in maniera impotente all’autodistruzione.
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